L’Autotutela
nel diritto tributario
|
Interesse
pubblico e diritti del contribuente
|
di
Antonio
Mauriello e Alessandra de Rosa
studiomauriello@live.it - alessandra.de_rosa@libero.it
ORDINE
DEI DOTTORI COMMERCIALISTI
E
DEGLI ESPERTI CONTABILI DI AVELLINO
|
Avellino
06/05/2013
Sommario:
1. Introduzione. – 2.
Aspetti Generali. – 3. Collocazione normativa dell’Autotutela. –
4. L’Autotutela dell’ufficio. – 5. Ratio
iuris e la questione
della discrezionalità. Differenze con l’Autotutela amministrativa.
– 6. Conclusioni.
L'autotutela
nasce come istituto di diritto Amministrativo e rappresenta una
manifestazione del potere di riesame dell'Amministrazione, i cui
riferimenti costituzionali sono da ricercarsi nei principi di buon
andamento e di imparzialità, di cui agli artt. 97 e 98 Costituzione
Repubblicana, cui la Pubblica Amministrazione deve sempre
uniformarsi.
In
questa sede si è indotti a domandarsi quali siano in concreto le
differenze tra autotutela tributaria e autotutela amministrativa.
L'autotutela
tributaria presenta una connotazione specifica, diversa da quella
amministrativa. In campo amministrativo, infatti, vi è un
bilanciamento
di interessi,
diverso da quello tributario, laddove l'esercizio dell'autotutela,
oltre a dover conformarsi ai principi di imparzialità, trasparenza e
buon andamento, deve tener anche conto dei principi costituzionali
che presiedono al prelievo tributario ed in particolare del principio
in base al quale tutti devono concorrere alle spese pubbliche in
ragione della propria capacità
contributiva
(art. 53 Cost.).
Nel
diritto tributario la discrezionalità dell'esercizio del potere di
autotutela dovrà, dunque, esplicarsi nel rispetto di tali
inderogabili valori costituzionali. L'esercizio del potere di
annullamento d'ufficio trova quindi le sue ragioni di legittimità
nella sussistenza congiunta:
a)
dell'illegittimità dell'atto
b)
di uno specifico, concreto ed attuale interesse pubblico
all'eliminazione dell'atto, diverso dal generico interesse al
ripristino della legalità.
In
tale secondo presupposto si può meglio notare la differenza tra i
due tipi di autotutela. Tale interesse, in campo tributario, sussiste
quando coincide con la necessità di assicurare che il contribuente
sia soggetto alla giusta
tassazione in
base al principio della capacità contributiva.
Un'altra
importante e sostanziale differenza tra autotutela amministrativa e
autotutela tributaria risiede nel fatto che, mentre in diritto
amministrativo il destinatario dell'originario atto illegittimo è
titolare di un interesse legittimo, in campo tributario la posizione
del soggetto passivo è di diritto
soggettivo. In
diritto tributario, infatti, quando si decide di eliminare un atto
illegittimo, non si dovrà valutare il conflitto tra interesse
pubblico alla rimozione dell'atto e quello del privato alla
conservazione dello stesso, l'interesse pubblico potrà riguardare
semmai il ristabilimento di una giusta imposizione.
L'interesse
legittimo presuppone infatti un potere discrezionale, inteso come
mediazione tra interessi, che qui invece manca. Ne consegue che
l'autotutela tributaria non si sostanzia nell'esercizio di un potere
discrezionale – interesse
legittimo e comparazione di più interessi
– bensì in un potere-dovere, diretto alla rimozione di atti
impositivi illegittimi, che prescinde dal perseguimento di un
interesse pubblico specifico e non incide nella sfera giuridica di un
terzo interessato.
Infatti,
mentre l'atto amministrativo, oggetto di successivo provvedimento di
autotutela, è un atto che ha ampliato la sfera giuridica del
destinatario, cosicché l'emanazione del successivo atto di
annullamento ha per lui principalmente effetti negativi, in caso di
autotutela tributaria vi è sostanziale coincidenza di vantaggio tra
contribuente e Amministrazione: mentre il primo ottiene
l'annullamento di un provvedimento per lui favorevole, la seconda
ottiene il ripristino del rispetto di principi di valenza
costituzionale erroneamente sacrificati con l'atto ritenuto
illegittimo.
In
campo tributario, quindi, l'interesse del privato all'autotutela
coincide e si compenetra con l'interesse alla legalità dell'azione
amministrativa.
Un'altra
sostanziale differenza tra autotutela amministrativa e quella
tributaria va ricercata nella mancanza, in quest'ultima, della
discrezionalità nell'esercizio del potere, in quanto essa va
annoverata in quell'attività legislativamente vincolata che incide
su posizioni di diritto soggettivo del contribuente. L'attività
legislativa vincolata trova il suo fondamento nel principio
dell'indisponibilità dell'obbligazione tributaria.
A
presiedere la tutela del contribuente e per evitare l'inerzia
dell'Amministrazione finanziaria dietro semplice istanza di riesame
in autotutela, è utile ricorrere all'Istituto della cd diffida ad
adempiere amministrativa. La diffida amministrativa, ex
legge 241/1990, non è altro che l'intimazione rivolta
all'Amministrazione finanziaria di rimuovere l'atto illegittimo nel
termine stabilito dalla legge che solitamente nel campo tributario è
di 30 giorni. V.
infra
Per
quanto ampi, diversificati e socialmente rilevanti possono essere i
fini che un moderno Stato di diritto può perseguire, esiste un dato
ineliminabile che è in grado di contribuire, consentire e permettere
il soddisfacimento del pubblico interesse, vale a dire la
disponibilità di risorse materiali impiegabili per la sua
realizzazione. Il prelievo tributario costituisce lo strumento
attraverso cui lo Stato riesce sia ad autoalimentarsi sia a creare e
a sostenere attività giuridiche e sociali volte al soddisfacimento
degli interessi della collettività imponendo alla stessa degli oneri
di contribuzione a tal riguardo.
Le
prestazioni imposte di accezione tributaria sono, in ogni caso,
presidiate da principi garantistici sia sotto il profilo della
giustizia sostanziale, intesa nel senso che tutti devono concorrere
alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva,
sia sotto il profilo della garanzia formale con riferimento al
rispetto del principio di legalità, nonché di imparzialità e di
buona amministrazione da parte dell’amministrazione finanziaria.
Le
sfide delle moderne società civili, in termini di nuove e sempre
crescenti esigenze di benessere sociale, impongono agli Stati che a
ciò ambiscono di massimizzare le proprie risorse evitando sia gli
sprechi sia i fenomeni dell’evasione e dell’elusione
dell’imposizione tributaria. In ossequio al principio cardine del
suo agire, vale a dire al principio di legalità, l’amministrazione
finanziaria persegue solo ed esclusivamente fini collettivistici,
facendosi giustizia da sé nel momento in cui riscontra un suo
errore. Questa è l’essenza dell’autotutela che vede sempre e
comunque l’amministrazione finanziaria quale soggetto portatore del
potere pubblicistico d’imposizione tributaria rispetto al quale il
cittadino è titolare di un interesse legittimo1.
Il
regolamento di attuazione del potere di autotutela si trova nel
Decreto ministeriale 11 febbraio 1997, n. 37, che fa seguito
all’articolo 2 quater
della legge n. 656 del 30 novembre 1994, mentre il potere
discrezionale di cui trattasi, è stato sancito dall’articolo 68
del D.P.R. n. 287 del 27 marzo 1992 concernente il regolamento del
personale del Ministero delle finanze dove si recita “salvo
che sia intervenuto giudicato, gli uffici dell’amministrazione
finanziaria, possono procedere all’annullamento, totale o parziale,
dei propri atti riconosciuti illegittimi o infondati con
provvedimento motivato notificato al contribuente”.
In quest’ultimo caso, in ossequio ai principi di cui all’art 1
della legge 241/1990 in materia di azione amministrativa, gli uffici
possono annullare i propri atti, dopo averli ritenuti infondati o
illegittimi, al fine di evitare un contenzioso già avviato dal
contribuente, destinato a terminare negativamente2.
Il
diritto tributario è un insieme intricato di norme e di direttive,
alcune volte in contrasto fra loro, le cui particolarità rispetto ai
principi generali del diritto amministrativo afferiscono la
disciplina legale della prestazione tributaria sul cui ammontare
l’amministrazione fiscale non può esercitare valutazioni di
opportunità e convenienza3.
In
ogni caso, esso offre la possibilità di cautelarsi nei confronti di
tali norme, laddove si riscontri un comportamento illecito o un
provvedimento illegittimo da parte dell’amministrazione
finanziaria. Quest’ultima, in quanto pubblica amministrazione, ha
il potere di emanare provvedimenti e, come conseguenza, di annullare,
revocare o sospendere gli stessi, qualora li reputasse illegittimi in
base ad una valutazione compiuta ex
post,
fermo restando che il soggetto passivo di imposta può, in ogni caso,
adire le vie della giurisdizione tributaria avverso i provvedimenti
che egli stesso reputasse illegittimi.
La
rimozione dell’atto da parte dell’amministrazione, rientra
nell’ambito del potere di riesame attraverso un procedimento di
secondo grado. L’amministrazione ha la facoltà di correggersi,
ovvero di procedere alla rimozione degli atti illegittimi per i
seguenti fini:
controversie
insorte evitando il ricorso a mezzi giurisdizionali in ossequio al
principio
dell’economia
dei mezzi giuridici;
contraddittorio
che può essere mancato in sede di deliberazione dell’atto
impugnato4.
In
questi casi si parla di autotutela dell’amministrazione
finanziaria, identificata nel potere di salvaguardare l’azione
amministrativa degli uffici finanziari attraverso strumenti di difesa
e di prevenzione del contenzioso, come l’annullamento, la rinuncia
o la revoca dei propri atti riconosciuti illegittimi.
Nel
suo significato più ampio, l’autotutela equivale a farsi giustizia
da sé nei rapporti con i terzi. Infatti, essa presenta due aspetti
complementari: il primo è costituito dall’esecutorietà dell’atto
amministrativo; il secondo è costituito dalla possibilità del suo
autoannullamento. Il diritto amministrativo, che ha la stessa età
dell’amministrazione, ha registrato fin dall’inizio la
possibilità o di imporre la propria volontà oppure di modificarla o
anche di cancellarla manifestando in pieno la sua competenza fino
alla più totale realizzazione. Il diritto tributario, scaturito per
partenogenesi dal primo, ma tra mille difficoltà concettuali e
pratiche, ha tardato ad inglobare, almeno formalmente e con carattere
di generalità, disposizioni da sempre presenti nell’ordinamento
positivo5.
Secondo
gran parte della più autorevole dottrina, l’autotutela dovrebbe
essere considerata espressione dello stesso potere impositivo
trovando la sua ratio
nel fatto che le funzioni amministrative non possono non comprendere
in sé, accanto alla possibilità di fare, anche quella di eliminare
ciò che non doveva farsi. Se si colloca, invece, l’autotutela
all’esterno della funzione impositiva si finisce col configurare
l’imposizione tributaria come ingiusta delineandosi dei rimedi
extra
ordinem
per il contribuente che non ha tempestivamente impugnato l’atto in
sede giurisdizionale.
A
sostegno della pretesa diversità tra l’autotutela amministrativa e
quella tributaria, si pone l’ulteriore valutazione secondo cui in
relazione agli atti tributari che incidono negativamente nella sfera
giuridica soggettiva del contribuente, non sono configurabili
situazioni di contro-interesse all’annullamento del provvedimento
diverse da quelle riferibili all’interesse dell’erario ad
incamerare gli importi accertati: l’unico interesse che potrebbe
muovere l’annullamento d’ufficio degli accertamenti tributari è
quello al ripristino della legalità violata, il che implica che
l’autotutela dell’amministrazione finanziaria è priva di
discrezionalità avendo essa carattere vincolato. L’annullamento
d’ufficio degli accertamenti tributari trova, in realtà, il suo
referente nell’esigenza di buon andamento dell’azione
amministrativa, frutto non di discrezionalità ma di mediazione di
interessi propri dell’amministrazione.
In
diritto amministrativo, ove i provvedimenti sono solitamente
espressione di discrezionalità, l’annullamento d’ufficio
dell’atto deve essere giustificato, oltre che dalla sua
illegittimità anche da un interesse dell’amministrazione
all’annullamento. In diritto tributario, invece, non essendovi
discrezionalità, l’esercizio dei poteri di autotutela non
presuppone valutazioni di convenienza: il ritiro o la correzione
dell’atto viziato vanno compiuti in applicazione della regola di
buona fede, cui deve attenersi l’amministrazione; la correzione
presuppone dunque il vizio e null’altro, ossia è giustificato
soltanto dal dovere di ogni pubblica amministrazione di ripristinare
la legalità.6
L’autotutela
tributaria è comunque finalizzata al perseguimento di un interesse
dell’amministrazione finanziaria volto a tutelare il principio di
eguaglianza sostanziale affinché il contribuente sia messo in
condizione di concorrere alle spese pubbliche in ragione della
capacità contributiva e secondo criteri di progressività.
L’eliminazione dell’atto illegittimo, nonché dell’atto
insufficientemente motivato, può esplicare l’effetto di superare
disparità di trattamento7.
Dunque,
pur riconoscendo all’ufficio la massima discrezionalità in ordine
all’an,
al quando ed al quomodo
per l’esercizio del potere di autotutela, tale discrezionalità non
può spingersi verso la mera facoltà del riesame: se, quindi, non vi
è alcun obbligo di accogliere, in tutto o in parte, le ragioni del
contribuente, deve comunque ritenersi sussistere l’obbligo del
riesame, con comunicazione alla parte degli esiti negativi dello
stesso. In mancanza, si concretizza da parte dell’ufficio l’ipotesi
di inerzia che assume la connotazione di gravità qualora il silenzio
perduri anche dopo reiterate ed inevase sollecitazioni, così
giustificando l’intervento sostitutivo dell’organo
sovraordinato8.
Il
diritto di autotutela nasce come forma di rivendicazione della
incolumità e della dignità della persona contro la violenza e gli
arbitri, affermandosi come elemento contemperatore e come strumento
di attuazione di due principi opposti, autorità e libertà, che
unitamente condizionano l’esistenza e la durata di un organismo
sociale.
Se
ritenessimo soltanto lo Stato unico soggetto titolare di diritti
considereremo il rapporto tra Stato e cittadini come un rapporto di
dominazione di fatto.
La
necessità che lo Stato mantenga ed attui l’ordinamento giuridico
da esso precostituito non offusca la medesima necessità di
concretizzare la convinzione per cui il cittadino è soggetto non
solo di doveri, ma anche di diritti, e non solo di diritti verso gli
altri privati, ma anche verso lo Stato stesso.
E
non vi è interesse, giuridicamente garantito in modo particolare,
maggiore di quello di salvaguardare l’incolumità dei propri
diritti di fronte alle sopraffazioni della stessa autorità, quando
il cittadino troppo tardi invocherebbe l’intervento
giurisdizionale.
La
nozione stessa di diritto contiene in sé la legittimità della
difesa. La tutela dei diritti è affidata agli organi
giurisdizionali. Ma, quando l’azione di tali organi giungerebbe
tardiva e quindi inefficace, è inevitabile usufruire della stessa
logica per la quale è riconosciuto al cittadino il diritto naturale
di autodifesa9.
Solo
nella concezione dello Stato libero – che considera i cittadini
legati alla Stato da un rapporto giuridico e non da un vincolo di
sudditanza, ritenendoli quindi soggetti non solo di doveri, ma anche
di diritti nelle loro relazioni con lo Stato – è ammissibile,
accanto all’esistenza di diritti pubblici statuali, il
riconoscimento da parte dello Stato di diritti pubblici individuali.
Fatte
queste considerazione occorre in questa sede delineare l’opportunità,
qualora si renda necessaria, di praticare la diffida ad adempiere.
Posto
che in presenza di richiesta espressa del contribuente,
l’Amministrazione ha l’obbligo di avviare e concludere il
procedimento, e ciò in base ai principi generali della legge sul
procedimento amministrativo – legge n. 241/1990, art. 2 – e in
ragione dei principi generali dello Statuto dei diritti del
contribuente – legge n. 212/2000, art. 7 – in base ai quali
l’Amministrazione Finanziaria ha l’obbligo di rispondere e
motivare la risposta10,
ci si chiede quale sia lo strumento più efficace qualora si presenti
una situazione di inerzia della Pubblica Amministrazione e entro
quali limiti sia possibile far riferimento al Giudice Penale.
La
diffida
ad adempiere,
ex
legge 241/1990, è sicuramente lo strumento più idoneo e valido al
fine di intimare l’Amministrazione finanziaria alla rimozione
dell'atto illegittimo nel termine stabilito dalla legge che
solitamente nel campo tributario è di 30 giorni.
Nel
caso in cui l'Amministrazione finanziaria dovesse violare i precetti
della Legge 241/1990 e nella fattispecie dell'intimazione, si consuma
il reato omissivo proprio del delitto ex
328 cp, rubricato “omissione
o rifiuto di atti d'ufficio”.
Ai
fini della configurabilità del reato di omissione di atti di
ufficio, di cui all’art. 328, 2°comma, cp, la richiesta del
privato, anche se non vincolata a particolari formule, deve essere
espressa e diretta al pubblico ufficiale titolare del potere-dovere
di compiere l’atto, e non alla pubblica amministrazione in genere,
e ciò non solo per il principio di personalità della responsabilità
penale, ma anche in forza della stessa disciplina sul procedimento
amministrativo.
In
tema di omissione di atti d’ufficio è necessario che la richiesta
del privato debba atteggiarsi sostanzialmente come una diffida, non
potendosi assegnare il medesimo valore ad una formale richiesta di
sollecito. La diffida ad adempiere deve quindi essere rivolta ad
accelerare l’adempimento dell’atto o l’esposizione delle
ragioni che lo impediscono.
Il
reato si consuma quando, in presenza di tale presupposto, sia decorso
il termine di trenta giorni senza che l’atto richiesto sia stato
compiuto o senza che il mancato compimento sia stato giustificato. E’
importante sottolineare che il reato stesso non è configurabile,
quindi, quando la richiesta non sia qualificabile come diffida ad
adempiere, diretta alla messa in mora del destinatario e da
quest’ultimo immediatamente valutabile, per il suo tenore letterale
e per il suo contenuto (così come avviene, ad esempio, nel caso di
semplice richiesta di informazioni o di chiarimenti).
In
ultimo si sottolinea che integra il reato di omissione di atti
d’ufficio la mancata comunicazione da parte della Pubblica
Amministrazione, entro trenta giorni della richiesta
dell’interessato, a norma dell’art. 25 della legge 241/1990,
dell’unità organizzativa competente e del nominativo del
responsabile del procedimento.
Se
ci si volesse addentrare, e non è questa la sede giusta, nella
ricerca della previsione che sta alla base del 2° comma dell’art.
328 cp, occorrerebbe partire sicuramente dal principio per il quale
ad una richiesta di un privato, di un cittadino, di un contribuente
corrisponde e deve corrispondere il dovere di dare risposte da parte
del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio,
ove quelle richieste riflettano un interesse personale identificabile
in una posizione giuridica soggettiva di diritto soggettivo o di
interesse legittimo.
Secondo l'opinione maggioritaria, le questioni di giurisdizione
dipendono dalla natura della situazione soggettiva per cui si chiede
tutela. Di qui la questione se, di fronte al diniego di autotutela,
il cittadino sia titolare di una situazione di interesse legittimo o
di diritto soggettivo. L'argomento verrà trattato nelle pagine
seguenti.
“In
prima battuta il diritto tributario si avvicina sotto numerosissimi
profili a quello amministrativo e ciò è anche confermato dalla
genesi storica di questa materia che non si è differenziata in modo
apprezzabile rispetto al diritto amministrativo fino a che non si
sono gradualmente affermate, per ragioni di carattere economico
politiche, la disciplina legale della prestazione tributaria e
l’applicazione dei tributi col criterio dell’autoliquidazione da
parte degli stessi contribuenti. Con l’affermarsi della disciplina
legale dell’imposta e, quindi, della non disponibilità da parte
dell’amministrazione degli interessi economico-sociali coinvolti
nel prelievo, parte della dottrina ha dubitato che ci si trovi di
fronte all’esercizio di poteri pubblici alla luce della carenza di
discrezionalità nella determinazione dell’imposta.
All’amministrazione finanziaria non è insomma dato considerare ai
fini della determinazione dell’imposta convenienze sociali,
economico e di occupazione, le condizioni personali e familiari del
contribuente o la rilevanza sociale dell’attività da esso svolta:
solo in linea di mero
fatto il funzionario può essere indotto a tener conto di questi
aspetti che non potranno però assurgere formalmente a
giustificazione ufficiale delle sue decisioni”.
Lupi, in Trattato di
diritto amministrativo, Diritto amministrativo speciale, Tomo
terzo: I servizi
pubblici. Finanza pubblica e privata,
pagg. 2648-2649.
Cfr. D’Agostino, Autotutela
tributaria, excursus normativo, giurisprudenziale ed effettiva
applicazione dell’istituto,
pag. 4988.
L’istituto dell’autotutela nel settore tributario non prevede
l’applicabilità della figura del silenzio-rifiuto, Cfr. Circolare
n. 3/22993 del 1999 della Direzione Regionale delle Entrate della
Lombardia; Sentenze n. 7388 del 27/03/2007 e n. 16776 del 10/08/2005
delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione; Sentenza n. 40 del
2008 Ctr di Brindisi.
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lunedì 6 maggio 2013
L'AUTOTUTELA NEL DIRITTO TRIBUTARIO
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